Preghiere di san francesco
Le Preghiere di Francesco, oltre ad essere tra i più bei testi che di lui ci sono pervenuti, offrono una chiarissima idea della ricchezza della sua personale esperienza di Dio, e possono costituire un punto di riferimento in un tempo come il nostro, orientato alla ricerca di vera spiritualità e bisognoso di maestri di preghiera. La preghiera e la meditazione occupavano, nella vita di S. Francesco, una posizione centrale e costituiscono il vero segreto della sua identità. Questa affermazione può essere accettata, senza difficoltà, da chiunque visiti i luoghi del primitivo francescanesimo: S. Damiano, Le Carceri, i romitori sui declivi montuosi nella Valle di Rieti (Poggio Bustone, Greccio, Fonte Colombo), La Verna, Lo Speco di S. Urbano, l'Eremita degli Arnolfi e tanti, tanti altri ancora.
Questi romitaggi attestano, senza ombra di dubbio, quanto forte era il desiderio di Francesco di appartarsi, per pregare e meditare. Una porta d'accesso per capire il posto che occupava la preghiera nella vita di Francesco sono i racconti dei suoi primi compagni. Un testo che può essere considerato riassuntivo lo si ritrova nella Vita Prima di Tommaso da Celano. Di esso si cita solo l'ultima parte: «Suo porto sicuro era la preghiera non di qualche minuto, o vuota, o pretenziosa, ma profondamente devota, umile e prolungata il più possibile. Se la iniziava la sera, a stento riusciva a staccarsene il mattino. Era sempre intento alla preghiera, quando camminava e quando sedeva, quando mangiava e quando beveva. Di notte si recava, solo, nelle chiese abbandonate e sperdute a pregare» (I Cel., n. 71). Narra lo stesso Celano, che Francesco cercava sempre qualche luogo nascosto, dove poter orientarsi verso Dio, «non soltanto col suo spirito, ma con le singole membra. E se all'improvviso si sentiva visitato dal Signore, per non rimanere senza cella, se ne faceva una piccola col mantello. E se a volte era privo di questo, ricopriva il volto con la manica, per non svelare la manna nascosta» (II Cel., n. 94).
PREGHIERA SEMPLICE Questa preghiera è stata accolta, quale "preghiera di S. Francesco per la pace", addirittura trionfalmente in tutto il mondo, e viene superlativamente apprezzata da cristiani di tutte le confessioni. Il suo contenuto corrisponde pienamente alla segreta aspirazione dei migliori cristiani del nostro tempo. Ma purtroppo essa non proviene da S. Francesco, anche se ne riassume, senza dubbio, tutto il suo pensiero. Si hanno precise informazioni sulla sua provenienza: nata precedentemente alla Prima Guerra Mondiale - tratta da un almanacco normanno, intorno alla prima decade del Novecento -, la si ritrova durante la Grande Guerra, per la prima volta, su di un'immaginetta devozionale, la cui facciata anteriore presenta un'effigie di S. Francesco; la preghiera però non venne affatto attribuita al Santo, cosa che invece si verificò nella traduzione inglese. In traduzioni successive le vennero apposte anche delle aggiunte, finché ricevette la forma in cui oggi la si conosce. Evidentemente essa esprimeva ciò che gli uomini sentivano in quel tristissimo periodo, alacremente sconvolto da una guerra priva di precedenti, trovando così un'accoglienza entusiastica. E dato che venne, anche se con le migliori intenzioni, attribuita al Santo assisiate, ottenne una risonanza mondiale. Si comprende allora come abbia potuto trovare in qualche modo accesso in traduzioni moderne degli "Scritti di S. Francesco".
PREGHIERA DAVANTI AL CROCIFISSOLa prima preghiera di Francesco a noi nota, è molto breve e risale al tempo in cui egli era alla ricerca della volontà di Dio (1205-06).
Essa è chiamata anche "preghiera nell'ora della conversione". Ciò non significa, però, che sia stata composta esattamente in quell'istante. E probabile che Francesco abbia pregato in una maniera simile già prima, fino a fissarla nella formulazione che ci è stata tramandata.
Il testo è conservato in un manoscritto della Bodleian Library a Oxford. Dal codice si apprende che la preghiera fu subito tradotta in latino, perché potesse essere utilizzata e compresa da tutti.
Colpisce, poi, il fatto che proprio la prima e l'ultima preghiera di Francesco d'Assisi siano state tramandate nella lingua materna del Santo.
Infatti, insieme al Cantico di frate Sole e al Canto di esortazione per le povere dame di S. Damiano, la Preghiera davanti al Crocifisso è la sola da noi conosciuta in "volgare", cioè nella lingua popolare usata in quel tempo dalla gente.
Gli altri scritti vennero formulati da Francesco in latino, talora con errori, o dettati in lingua volgare e subito tradotti in latino da un frate scrivano.
LODI PER OGNI ORACollocate tra il Cantico e l'Ufficio della Passione, nel Codice 338 di Assisi, queste lodi segnano il trapasso alle preghiere vere e proprie, attraverso l'ispirazione liturgica a cui attingono. La didascalia informa che Francesco le recitava ad ogni ora del giorno e della notte e prima dell'Ufficio della Beata Vergine Maria, «incominciando così: Santissimo Padre nostro, che sei nei cieli, ecc.», e continuando, dopo il Gloria, con il testo in oggetto. Queste lodi sono nella forma del responsorio liturgico, alternando il ritornello con acclamazioni ricavate testualmente dall'Apocalisse e dal Libro di Daniele: canto al Dio santo e onnipotente e all'Agnello immolato, concluso con la dossologia trinitaria. Alla lode propriamente detta, segue la preghiera "Onnipotente, santissimo", in cui Francesco aggiunge la sua invocazione più personale, che è canto di esultanza davanti a colui che è "tutto il bene".
ESORTAZIONE ALLA LODE DI DIOLa critica oggi accetta come autentica la "Esortazione alla lode di Dio", che, secondo alcune testimonianze, esisteva scritta su di una tavoletta nel luogo dell'Eremita (Cesi di Terni), dove attesta di averla vista, ancora nel 1500, Mariano da Firenze, e che la tradizione diceva autografa di Francesco. Stile semplice, senza costruzione logica, come d'un sentimento spontaneo che si riveste delle espressioni bibliche più usuali nell'Ufficiatura, citandole liberamente, a memoria, con presenza di italianismi, e soprattutto il calore spontaneo della lode - note che ritroviamo in altre "laudi" di lui più conosciute - accreditano la attribuzione a Francesco anche di questa "esortazione". Ed è come il segno di una volontà poetica, che arriverà ad un controllo creativo notevole negli anni seguenti, come provano le composizioni maggiori.
LODI DI DIO ALTISSIMOSe ne conserva il prezioso autografo pergamenaceo nella "Cappella delle Reliquie" della basilica di S. Francesco in Assisi, dopo che era stato custodito gelosamente per tanti decenni da frate Leone nella sua tonaca, finché visse. E' questo il frutto più incandescente, e in parte insondabile, della esperienza mistica delle stimmate, un incanto di contemplazione estatica, dei singoli attributi, o nomi di Dio, quelli che la Bibbia e la liturgia riferiscono a Dio, altri che sgorgano direttamente dalla umanità e fede di Francesco. Non c'è qui quel sostare trepido, che sarà proprio del Cantico, ma come un impetuoso emergere di parole-cose, nel tentativo di dire questa "meravigliosa cosa" che aveva operato anche in lui il Signore. Si nota che, come nell'inno liturgico che ne fa da sottofondo ispirativo e musicale, il "Gloria", Francesco parla direttamente e personalmente a Dio, come un figlio - voce lui stesso di tutta l'umanità adorante e contemplante - con il meraviglioso "Tu", in cui scompare ogni distanza e il credente è come assorbito nel ritmo della vita di Dio.
SALUTO ALLA BEATA VERGINE MARIAAnche di questa lode, intessuta di sostantivi-aggettivi biblici e patristici, è sicura l'autenticità, avallata, oltretutto, dalla testimonianza del Celano: «Circondava di indicibile amore la Madre di Gesù. per averci donato come fratello il Signore della maestà. Le cantava speciali lodi...» (II Cel., n. 198). La lode apre sullo spazio infinito della fede e devozione mariana di Francesco, che contempla e canta in Maria l'inizio della Chiesa, nella missione che le ha affidato la Trinità, di diventare e tramutare il mondo intero in abitazione, dimora, palazzo e vestimento di Dio.
SALUTO ALLE VIRTU'Non ci sono dubbi sulla autenticità di questa "laude", poiché Tommaso da Celano (II Cel., n. 189), ne riporta un tratto. Essa risulta divisibile in due parti: nella prima Francesco canta i pregi delle virtù tipicamente francescane, con singolarissimi abbinamenti, rivolgendosi ad esse come a persone vive; nella seconda egli adombra uno scontro tra virtù e vizi opposti. Ma forse, dietro a queste persone, che sono anche allegorie, c'è un volto, una persona che tutte le incarna, colui che è "la forma del Vangelo": Cristo.
PARAFRASI DEL PADRE NOSTROAnche se non è possibile ritrarre con certezza le circostanze esteriori: tempo, luogo, autenticità letteraria, questa "Parafrasi del Pater" è forse una delle pagine più rivelatrici della preghiera di Francesco, dunque della sua storia spirituale, colta nel vertice del suo colloquio più frequente e abituale con Dio, il Padre. E' noto che il "Pater" era la preghiera prediletta da Francesco, ed essa risuonava continuamente, nei "luoghi" dei frati, cantata su una melodia popolare, e venne fissata anche come "alternativa" dell'Ufficio divino per i "frati illetterati". Prendendo lo spunto dalla preghiera di Gesù, e quasi delibandone a lungo la dolcezza, Francesco medita, contempla, gode, canta e implora, allargandosi agli angoli più preziosi del Regno di Dio. Può essersi serviTo di altri modelli, aver attinto espressioni intere da precedenti elaborazioni a sua conoscenza, ma non si può mettere in dubbio l'autenticità francescana di questa preghiera così come ci è stata tramandata. Del resto, esiste una originalità spirituale e poetica che, nel caso di Francesco, vale ben di più, come significato biografico e spirituale, di quella testuale.
BENEDIZIONE A FRATE LEONEE' l'autografo di Francesco, meglio conosciuto come "Carta data a frate Leone", conservato nella "Cappella delle Reliquie" della Basilica di S. Francesco in Assisi. La piccola pergamena, pervenuta a noi ripiegata in quattro e sgualcita, per essere stata portata gelosamente addosso dal destinatario sino alla sua morte (1271), presenta due piccoli testi: su di un verso le "Lodi di Dio altissimo", in una successione di infuocati e teneri attributi; nell'altro la "Benedizione a frate Leone", con la formula usata da Mosé e da Aronne per benedire i figli d'Israele e contrassegnata da un vigoroso Tau come segno di croce, iscritto nel nome di Leone. Secondo quanto tramandato da Tommaso da Celano (II Cel., n. 49) e dalle annotazioni che frate Leone stesso, di proprio pugno, appose con inchiostro rosso al di sopra della predetta "Benedizione", è possibile datare lo scritto al settembre 1224, dopo l'impressioni delle stimmate sulla Verna.
CANTICO DELLE CREATUREQuel canto di lode, che gli risuonava a tratti nell'anima - dall'inizio della sua conversione, da quando Dio e tutte le cose avevano cominciato a rivelargli un sapore nuovo, come dolcezza che avvince e piega ogni volontà al servizio d'amore -, e del quale sono segni le altre "lodi" scritte in latino, in crescendo d'entusiasmo, chiamando molte volte tutti i volatili e le creature ad associarsi alla sua lode, finalmente trova la via della parola nella sua lingua materna. Avviene un mattino, dopo una notte trascorsa nella capanna di frasche a S. Damiano, in cui aveva toccato i vertici della sofferenza, nel corpo e nello spirito per le tante malattie e tribolazioni, e della gioia, nel corpo e nello spirito, per la voce che gli aveva assicurato, già da ora, il possesso del Regno. Gli occhi bruciati e fasciati in modo tale che non vi penetrasse neppure un filo di luce, Francesco, al sorgere del sole, chiama attorno a sé i pochi compagni e li prega di ascoltare e trascrivere e poi imparare e cantare, la nuova lode, che ora egli intonerà, invitando tutte le creature a lodare il Signore. Si ritrova così nella sintonia originaria con il sole, la luna, le stelle, l'aria, l'acqua, il fuoco, la terra, l'uomo che vive nella pazienza. Poi vi aggiungerà la strofa del "perdono", sollecitato dalla sua missione di evangelista del perdono e della pace, e, alla fine, inviterà anche "sorella morte", "che è la porta della vita", a questo canto dell'universo redento, pacificato e salvato in Cristo, vero canto pasquale del mondo nuovo, che Cristo riconsegnerà al Padre. Le biografie più impegnate, Celano e Bonaventura, più volte accennano ad «alcuni versi da lui composti, con i quali invitava tutte le creature a lodare Dio» (ecco l'origine del titolo "Cantico delle creature"), ma non ne riportano il testo, che è invece conservato, nell'originale in volgare, nel testo latino della "Leggenda perugina" e dello "Specchio di perfezione" (ove, invece, si parla di "Cantico di Frate Sole", motivandone il titolo), oltre che in numerosi codici contenenti gli "Scritti di S. Francesco", tra i quali il più seguito e divulgato è il 338 della Biblioteca comunale di Assisi.
PREGHIERA "ABSORBEAT"Questa preghiera, che prima del Wadding (sec. XVII) non è attestata in alcun manoscritto, è stata, in passato, considerata autentica da alcuni studiosi, i quali si poggiavano alle testimonianze di Ubertino da Casale e di San Bernardino da Siena. La preghiera è costituita da una combinazione di testi patristici, molto conosciuti e spesso usati nel sec. XII. Il testo, a detta di autorevoli critici, non rivela alcun contributo originale di S. Francesco e, contrariamente a quanto affermato dal Wadding, non viene attribuito al Santo quale autore né da Ubertino né da Bernardino. Da quanto essi raccontano si può tutt’al più concludere che Francesco abbia conosciuto questa preghiera e ne abbia fatto uso. Tutto il resto è pura congettura.
PAROLE CON MELODIA PER LE POVERE SIGNORE DEL MONASTERO DI S. DAMIANOLa "Leggenda perugina" tramanda che Francesco, nei giorni in cui compose il "Cantico di frate Sole", nello stesso luogo (S. Damiano) «dettò altresì alcune sante parole con melodia, a maggior consolazione delle povere signore del monastero di S. Damiano, soprattutto perché le sapeva molto contristate per la sua malattia» (Leggenda Perugina, n. 45; Specchio di perfezione, n.90). Finalmente si è riusciti a trovare il testo in due codici conservati nel monastero di S. Fidenzio di Novaglie. La concordanza di pensiero conferisce piena autorità al testo, e la critica, quasi unanimemente, è d’accordo anche rispetto all’autenticità letteraria, una volta ripulito di qualche inflessione addebitabile all’amanuense. Il testo delle “sante parole” fa rivivere tutta l’atmosfera del "Cantico di frate Sole".
DELLA VERA E PERFETTA LETIZIAPur collocata tra gli “opuscoli dettati”, non si ha nessuna esitazione ad accogliere questa redazione del “dialogo della vera e perfetta letizia” tra gli scritti o dettati autentici di Francesco. Rispetto alla versione più ampia, e in certo senso più teatrale, contenuta nel capitolo VII degli “Actus” (cap. VIII dei "Fioretti"), questo “racconto” (più antico degli altri sopraddetti), lascia trasparire uno sfondo storico più realistico ed una immediatezza di dettato, che depone per la sua assoluta autenticità. Si noti il particolare: l’episodio è presentato come riferito da frate Leonardo di Assisi. In essa la vita diventa come una preghiera meditata, nella linea di alcune delle “ammonizioni” e richiamando un altro Fioretto (cap. IX), nel quale, anche intenzionalmente, il dialogo con frate Leone si svolge come un “mattutino” liturgico.
UFFICIO DELLA PASSIONE DEL SIGNOREQuesto lungo e variato componimento è, a detta dei critici, forse la “preghiera” più propria e caratteristica di Francesco, documento di quel suo particolare modo di ritornare a ruminare la parola di Dio dentro di sé, fino a farsela propria e a darle un libero e personale indirizzo di canto. Così i Salmi, nei quali è profetizzata la storia del “Servo di Jahvé”, lungamente meditati e amati, si trasformano in nuovi Salmi, di sua composizione. In tutto si tratta di 15 salmi, di cui due soltanto sono mutuati interamente dal "Salterio", mentre gli altri 13 sono una “variazione” spirituale-poetica, che attinge anche a Isaia, Geremia, Esodo, Vangelo, Apocalisse, Liturgia. Cinque i formulari, tre incentrati sul mistero della Passione-Pasqua-Gloria; due sul mistero del Natale. E’ tutto il mistero della salvezza che viene rivissuto, come una storia presente, in “memoria”, appunto come nell’Eucaristia. Ogni formulario comprende: antifona alla Beata Vergine, unica; un Salmo per ognuna delle Ore canoniche e una breve orazione conclusiva di benedizione e lode al Signore. E’ da rilevare che questa preghiera salmica, Francesco la colloca sulle labbra di Cristo, a cui egli associa se stesso e tutti i suoi frati: l’orante principale - e unico - è Cristo, il Figlio; e perciò si comprende la dolcissima invocazione, che Francesco spesso introduce, variando i titoli biblici, e facendo dire a Gesù: «Mio Padre santo!». Nessuno ha mai dubitato della autenticità di questo "Ufficio", anche se è quasi impossibile individuarne il tempo di composizione.