ordine benedettino - la storia, seconda parte
Parte II - Dal sec. XI ai giorni nostri
La fine delle invasioni saracene e ungare, il risveglio di pi vive esigenze evangeliche, l'aumento della mobilit umana, il rinnovato rapporto tra città e contado, le attese escatologiche, costituiscono lo sfondo generale entro cui si colloca anche il grande sviluppo dei centri monastici a partire dal sec. XI. La compenetrazione sempre più stretta fra vita monastica e strutture feudali, i troppi interessi materiali, i prevalenti compiti amministrativi, la tensione con nuove forme di vita religiosa (come i canonici regolari) sono all'origine di quel fenomeno noto sotto il nome di "crisi del cenobitismo", a cui si cercherà di reagire mediante lo sviluppo di correnti eremitiche e di movimenti monastici rigoristici e riformati. Il punto di riferimento per il rinnovamento delle osservanze e le discussioni teoriche per lo più ancora la Regola di S. Benedetto, sia pure integrata da testi sempre più vari di "Usi" e "Consuetudini". Per un complesso di ragioni si verifica anche, nei monasteri, un crescente processo di clericalizzazione con un numero sempre maggiore di monaci, che ascendono agli ordini sacri, con il conseguente aumento delle messe e degli altari, delle absidi e delle cripte, ma soprattutto con una netta differenziazione nei confronti della classe dei fratelli conversi, che fanno ora la loro comparsa, introducendo, quindi, una nuova classe di monaci non prevista dalla "Regola" e non del tutto equiparata a quella dei monaci di coro. La tendenza alla nascita di movimenti supernazionali, unitari ed accentrati, porta all'origine di veri e propri "Ordines", ossia di organismi monastici che seguono proprie osservanze - "Ordo" significava in origine non "ordine", ma "genere di vita" - sempre più diversificate.
E se, intorno al Mille, nel passaggio dalla dinastia di Sassonia a quella di Franconia, il monachesimo partecipa dello spirito della "Renovatio Imperii" mediante l'appoggio spirituale all'Impero stesso da parte delle correnti riformate, nel decorso del sec. XI parteciperà alle lotte per la "libertas Ecclesiae", con personaggi tra i quali emerge la figura del papa S. Gregorio VII (1085), già monaco a Cluny. Al tempo stesso, si completa l'evangelizzazione dei popoli germanici, a cui si aggiunge - con l'opera di S. Adalberto di Praga e poi con quella dei primi discepoli di S. Romualdo la conversione dei popoli slavi. Ma questa è soprattutto l'epoca in cui raggiunge il suo apogeo la cosiddetta "teologia monastica", ossia quella riflessione sapienziale sui misteri della fede, che porta al suo compimento tutto il precedente sviluppo del pensiero cristiano in prosecuzione diretta della teologia patristica. Ne sono precipui rappresentanti S. Anselmo d'Aosta e Ruperto di Deutz, Pietro di Celle e Giovanni di Fùcamp, S. Pier Damiani e S. Ildegarde. Su tutti però domina la figura di S. Bernardo, con cui può veramente dirsi che si concluda la teologia patristica prolungatasi per tutto il Medioevo monastico. Un tentativo di soluzione alla crisi del cenobitismo sopra ricordata, fu costituito dalla rinascita delle correnti eremitiche. L'eremitismo, senza dubbio, era sempre esistito, e aveva attraversato tutto l'Alto Medioevo, ma a partire dai secc. X-XII esso diviene più facilmente individuabile, non solo per l'aumento della documentazione, ma anche per la sua tendenza a organizzarsi in veri e propri "Ordines" richiamantisi anch'essi, in maniera più o meno diretta, alla Regola benedettina. Uno di questi, cronologicamente il primo e senza dubbio uno dei più originali, è quello facente capo alla tradizione di S. Romualdo (1027), la cui biografia fu composta da S. Pier Damiani.
Dopo un non riuscito esperimento di vita cenobitica a Ravenna (dove era nato), S. Romualdo intraprese una prassi di eremitismo itinerante, che lo condusse anche sui Pirenei. Ritornato in Italia, fondò monasteri e eremi, tra cui, alla fine della sua vita, Camaldoli; riformò comunità preesistenti, tra cui Fonte Avellana, morendo a Valdicastro. Le "Case" da lui fondate o riformate (in tutto una trentina) non erano unite da alcun vincolo giuridico, nè da alcuna legislazione particolare. Se nella sua spiritualità si rintraccia un vivo amore alla solitudine, la ricerca del martirio e il senso dell'amicizia spirituale, dal punto di vista delle istituzioni si può affermare che egli mirava all'unione di eremo e cenobio sotto un solo superiore residente nell'eremo: il tutto, però, nell'ambito della "Regola" e della tradizione benedettina. I monaci rimanevano liberi di passare dal cenobio (che aveva una funzione formativa) all'eremo. Solo il quarto priore di Camaldoli, il Beato Rodolfo, compose verso il 1085 delle "Regole eremitiche". Un altro movimento eremitico del tempo, quello della Certosa, trae origine da S. Bruno di Colonia (1101), il quale, già canonico, nel 1084 fondava l'eremo della Grande-Chartreuse presso Grènoble. Neppure S. Bruno lasciò delle costituzioni e solo Guigo I, quinto priore della Chartreuse, redasse nel 1127 un "corpus" di "Consuetudini". La struttura della Certosa è basata sulla osservanza eremitica temperata da alcuni esercizi di vita cenobitica. Il monaco vive in una casetta a due piani, da cui esce solo tre volte al giorno per la preghiera comune in chiesa. Il silenzio è pressochè continuo e l'astinenza dalle carni perpetua. Accanto ai movimenti eremitici devono essere ricordati quei nuovi filoni monastici, che prendono l'avvio proprio a partire da quest'epoca, come, in Francia, quello fondato da S. Guglielmo di Volpiano e, in Italia, quello di Vallombrosa, fondato da S. Giovanni Gualberto e quello di Montevergine, fondato da S. Guglielmo di Vercelli.
Amico di quest'ultimo fu poi S. Giovanni da Matera, fondatore, in Puglia, della Congregazione di Pulsano, che, per alcuni suoi atteggiamenti pauperistici, sembra preannunziare la nascita del francescanesimo.
Ancora poco chiare, nel loro insieme, sono invece le origini di un esteso movimento, in parte monastico e in parte canonicale, quello degli Umiliati, particolarmente diffuso nella regione padana e dedito specialmente alla lavorazione della lana.
E' indubbio, però, che fra tutti i movimenti monastici sorti nel pieno Medioevo, il più importante sia quello cistercense.
Esso trae origine da S. Roberto, il quale, già abate di Molesme, al fine di ripristinare una fedele osservanza della Regola benedettina, fondò nel 1098 il monastero di Còteaux.
Le difficoltà iniziali, costituite dal rigore dell'osservanza e dall'ambiente inospitale, furono superate dalla venuta di S. Bernardo e di trenta suoi compagni.
A S. Roberto succedettero S. Alberico e S. Stefano Harding, autore della "Carta caritatis", testo base della legislazione cistercense.
Il programma di tali monaci mirava ad attuare un'osservanza la più letterale possibile della Regola di San Benedetto quanto all'austerità degli abiti e del vitto, alla soppressione delle lunghe preghiere supplementari, alla semplicità degli edifici, all'eliminazione dei possessi che i monaci non avrebbero potuto coltivare senza il ricorso alla mano d'opera estranea.
A tale scopo, grande impulso ricevette la categoria dei fratelli conversi.
La visita canonica annuale e il capitolo generale erano i due strumenti legislativi, mediante i quali si assicurava la fedeltà al programma iniziale.
Lungo tutto il sec. XII, le fondazioni si accrebbero in misura imprevedibile: alcuni monasteri contavano diverse centinaia di monaci. S. Bernardo, da solo, fondò o riformò sessantasei monasteri.
La straordinaria fecondità della corrente cistercense, oltre che nell'attività agricola, ebbe modo di esplicarsi specialmente nel campo della spiritualità, in cui all'elemento oggettivo della precedente tradizione benedettina, si aggiungeva una più attenta considerazione degli aspetti soggettivi, dei riecheggiamenti interiori, delle vibrazioni dell'anima di fronte ai misteri della fede.
Alla corrente di Còteaux appartiene anche la singolare figura di Gioacchino da Fiore (1202), che diede vita alla congregazione cistercense "florense".
La sua importanza storico-dottrinale consiste nell'aver dato voce a quelle attese escatologiche che erano diffuse nella società contemporanea, sostenendo che dopo l'"Età del Padre" e quella "del Figlio", il processo della storia avrebbe condotto all'avvento dell'"Età dello Spirito Santo", l'età dei monaci e dei contemplativi.
Il Basso Medioevo segna senza dubbio l'inizio di un declino dei centri monastici, e ciò a causa di un insieme di fattori istituzionali, economici e culturali, a cui sembrano maggiormente soddisfare i nuovi "Ordini mendicanti". Congregazioni monastiche, tuttavia, fra '200 e '300, continuano a pullulare un po' dappertutto, come i Silvestrini nelle Marche, i Celestini in Abruzzo, gli Olivetani in Toscana. Fra '300 e '400, i pericoli maggiori sono costituiti, per il mondo monastico, dalla decadenza disciplinare, dall'isolamento, dalla "commenda" (ossia dall'affidamento dei monasteri stessi a estranei che ne godono le rendite e poco si preoccupano della vita della comunità). Per ovviare a tali inconvenienti, sorsero sia su scala regionale sia a livello nazionale dei movimenti monastici, tra cui i più importanti sono quelli di S. Giustina di Padova, di Valladolid in Spagna, di Bursfeld in Germania. Soprattutto il movimento di S. Giustina rappresentò l'espressione più significativa e feconda della riforma cattolica che, in campo monastico, precorse di un secolo le deliberazioni del "Concilio di Trento". A quell'abbazia padovana, anch'essa in stato di squallida decadenza, era stato inviato come abate il nobile veneziano Ludovico Barbo (1443), formatosi nei cenacoli spirituali della città della laguna. Il Barbo vi profuse tutte le sue sollecitudini, attirando in quel monastero molti giovani studenti dell'Università padovana. La rinascita divenne così cospicua, che si dovettero cercare nuove sedi: in tal modo, numerosi monasteri italiani, che versavano da tempo in condizioni miserande, trovarono, nell'aggregazione al movimento monastico di S. Giustina, la loro salvezza. La forma adottata era quella federativa, senza alcuna preminenza fra i monasteri, mentre il pericolo della "commenda" era evitato con la riduzione dell'ufficio abbaziale a un solo anno: l'autorità, di fatto, era demandata al capitolo generale annuale. La Congregazione di S. Giustina divenne il punto di riferimento di tutte le Congregazioni monastiche riformate del '400 - '500, rimanendo una Congregazione esclusivamente italiana e assumendo nel 1504, con l'annessione di Montecassino, il nome di Congregazione Cassinese. Nell'epoca Moderna, tuttavia, il monachesimo benedettino è ormai affiancato da una quantità crescente di altri Ordini religiosi, che svolgono, nella vita della Chiesa, le più svariate attività. Il mondo monastico, inoltre, ha avuto particolarmente a soffrire, nel Nord dell'Europa, per le conseguenze della Riforma protestante, con la soppressione di numerosissimi monasteri e la dispersione delle relative comunità.
Particolarmente dolorosa, al riguardo, la situazione in Inghilterra e in Germania. Anche nel '500, ad ogni modo, ebbero vita movimenti di riforma come, in ambiente camaldolese, quello promosso dal Beato Paolo Giustiniani (1528), autore di scritti spirituali la cui importanza è stata rivalutata solo recentemente. Imponente, poi, l'apporto dato dai monasteri al movimento umanistico e rinascimentale nei vari campi delle arti, delle scienze e delle lettere. Anche per la vita monastica considerevoli effetti ebbe la celebrazione del "Concilio di Trento" (1545-1563) con le sue deliberazioni disciplinari relative ai monasteri: venne stabilito, infatti, che tutti i monasteri maschili dovevano riunirsi in capitoli provinciali e in congregazioni; si fissò un rapporto fra il numero dei membri e le relative rendite economiche; si cercò di porre un freno alla "commenda". Sui monasteri femminili, poi, veniva riaffermata l'autorità dei vescovi; suggerito - per motivi di sicurezza - il trasferimento in ambiente cittadino; stabilito che le badesse fossero elette non più a vita ma a triennio. Strumento efficace di tale riforma fu l'impiego dei visitatori apostolici, in cui ebbe modo di distinguersi specialmente S. Carlo Borromeo. L'attuazione dei "decreti tridentini" contribuì senza dubbio ad un rinsaldamento della disciplina, anche se inconvenienti e abusi, specialmente nei monasteri femminili, ebbero modo di persistere. Si accentua sempre più, nel mondo monastico, l'aspetto istituzionale, aulico, accademico, in piena sintonia con gli indirizzi della società e della cultura barocca. Anche le Congregazioni benedettine tendono ad aumentare; tra esse deve essere ricordata, per l'impulso dato agli studi sacri e specialmente alle edizioni dei "Padri della Chiesa", la Congregazione francese di S. Mauro, o dei "Maurini", fondata nel 1621. Di fatto, l'attività intellettuale è in vigore in quasi tutti i monasteri, che divengono meta di studiosi e sono dotati di imponenti biblioteche, pinacoteche, musei. Una simile applicazione così massiccia agli studi non mancò, anzi, di provocare critiche e reazioni in nome di concezioni diverse: è il caso dell'abate Rancò, fondatore dei Trappisti (ramo riformato dell'Ordine di Còteaux), che sostenne in proposito una polemica col più illustre rappresentante dei Maurini, Giovanni Mabillon. Un'espansione molto più limitata, dovuta alla peculiarità della sua origine, ebbe la Congregazione dei Mechitaristi, fondata nel '700 dal venerabile Pietro Mechitar, un armeno che, dopo un tentativo di fondazione a Costantinopoli, si era trasferito a Venezia, all'isola di San Lazzaro, adottando la Regola di San Benedetto.
I Mechitaristi hanno dato vita, in Occidente, ad un attivissimo focolaio di cultura e spiritualità armena, prendendosi cura dei numerosi loro connazionali sparsi in Europa. Nel '700 molti monasteri prendono parte attiva anche alle dispute dottrinali allora dibattute nella società e nella Chiesa, prima fra tutte quella del Giansenismo, mentre più difficile è valutare l'apporto alle vere e proprie correnti di spiritualità, perchè molto è andato perduto o rimane ancora inedito. Nei monasteri femminili, poi, singolari figure di religiose vivevano, a volte, un'intensa esperienza spirituale, pur in un'atmosfera di devozionalismo, che rivelava il distacco dalla grande tradizione monastica. Dopo alcune avvisaglie però, costituite dalle soppressioni decretate dai vari governi settecenteschi, la Rivoluzione francese soppresse e disperse quasi tutte le comunità monastiche incontrate sulla propria strada. In tal modo, oltre ai religiosi, andò disperso un ingente patrimonio storico, artistico, spirituale. Questo processo di confische, incameramenti, vessazioni sembra avere proprio nella persona di un monaco, Gregorio Barnaba Chiaramonti dell'abbazia di Cesena, la sua vittima più illustre e significativa. Il Chiaramonti, infatti, divenne papa col nome di Pio VII nel conclave tenuto nel monastero di San Giorgio Maggiore di Venezia: in mezzo al turbine devastatore che aveva travolto quasi tutte le istituzioni monastiche solo la sua figura pareva rappresentare, pur tra le umiliazioni subite ad opera di Napoleone, un motivo di speranza per l'avvenire. La Restaurazione dell'epoca post-napoleonica portò alla rinascita e alla riorganizzazione, più o meno rapida e riuscita, di diverse Congregazioni e comunità monastiche. Vi influì anche il clima della cultura generale del tempo che, sotto l'influsso del Romanticismo, esaltava le epoche e le istituzioni della cristianità medievale tra cui, appunto, il monachesimo. Tale rinascita acquistò caratteri particolarmente significativi in Francia. Ivi, infatti, un sacerdote secolare della diocesi di Le Mans, Prospero Guuranger (1875), sognava una rinascita della vita monastica in quel Paese, da cui essa era totalmente scomparsa, e a tale scopo aveva riscattato il monastero di Solesmes e vi si era stabilito con alcuni discepoli. Il Guranger emise la professione monastica nell'abbazia romana di San Paolo (1837), ricevendo appoggio dal papa Gregorio XVI, camaldolese. L'espansione fu lenta ma sicura: ne nacque una nuova Congregazione ("solesmense"), nota per l'impulso dato agli studi sulla tradizione del canto gregoriano e, remotamente, ai primordi dell'odierno movimento liturgico. All'opera del restauratore di Solesmes si ispirarono anche altri fondatori di Congregazioni benedettine nell'800, in primo luogo i fratelli Mauro e Placido Wolter, fondatori della Congregazione di Beuron, in Germania, che a sua volta fond diversi monasteri in varie nazioni d'Europa e si interessò anche della ripresa dell'antica Congregazione benedettina brasiliana.
Alla fine dei sec. XIX veniva fondata anche la Congregazione tedesca di S. Ottilia per le missioni in Africa e in Asia. In questi ultimi casi si trattava di fondazioni completamente nuove. Ma esistevano anche altre situazioni, che parevano esigere la riforma di istituzioni gi esistenti. E' il caso, in Italia, della Congregazione Cassinese, di cui promosse un movimento di riforma l'abate Pier Francesco Casaretto, dando vita ad una Congregazione (poi internazionale), denominata Congregazione Cassinese "della primitiva osservanza", successivamente "sublacense". L'estensione per i vari Paesi e continenti e l'annessione di monasteri già dotati di proprie tradizioni, non permise che si mantenesse un'effettiva unità di osservanza. Va inoltre aggiunto che la situazione era resa più complessa e dolorosa dalle nuove soppressioni decretate nel 1855 e 1866 dal governo italiano, soppressioni che posero le nuove e antiche comunità in condizioni di grave incertezza per il proprio avvenire. Un fatto del tutto nuovo, fu invece la larga penetrazione della vita benedettina negli Stati Uniti d'America. Fin dai primi decenni dell'800 vi erano giunti i Trappisti francesi guidati dal padre Agostino de Lestrange. Poco dopo era la volta dei Benedettini bavaresi e di quelli svizzeri, con lo scopo di assistere i rispettivi connazionali emigrati nel Nuovo Mondo: ne deriveranno due fiorenti Congregazioni benedettine profondamente radicate nella società e nella Chiesa statunitense. Quasi contemporaneamente, la vita benedettina veniva impiantata in Australia, con la fondazione dell'abbazia di Nuova Norcia. Gli ultimi decenni del sec. XIX segnarono per tutte le famiglie benedettine un generale moto di ripresa. L'occasione fu offerta dalla celebrazione del XIV centenario della nascita di S. Benedetto (1880), circostanza in cui tutti gli abati del mondo si radunarono per la prima volta a Montecassino. Dall'incontro nacquero importanti iniziative: la fondazione, a Roma, del Collegio internazionale di S. Anselmo sull'Aventino, e, poi, la istituzione della Confederazione Benedettina governata da un Abate Primate (1893). Ci si dovette anche al fattivo interessamento di Leone XIII, che nell'anno precedente aveva riunito in un solo Ordine le tre Congregazioni di Trappisti allora esistenti. Questi avvenimenti conferirono un nuovo slancio a tutto l'Ordine benedettino, che si riconosceva ormai nella recente, grande "Confederazione", nella quale per le diverse Congregazioni monastiche, pur aderendovi, conservavano la loro piena autonomia e fisionomia. Dai 2000 monaci benedettini del 1880 si pass a 6500 nel 1910, fino a raggiungere la cifra massima di 11400 nel 1955. Anche le Benedettine - divise nei due rami di monache e suore - hanno conosciuto una notevole fioritura.
Naturalmente le due Guerre mondiali sono state foriere di gravi danni, di cui può essere considerata come simbolo la distruzione di Montecassino nel febbraio 1944. Nel nostro secolo, in ogni caso, il monachesimo benedettino ha raggiunto un'espansione veramente mondiale, contribuendo alla rinascita religiosa e alla celebrazione del "Concilio Vaticano II", mediante l'apporto al movimento liturgico, biblico, patristico, ecumenico di cui i monasteri benedettini sono stati dei focolai particolarmente attivi. Le varie abbazie europee ed americane hanno infatti recato a tali movimenti un significativo contributo, accanto al compito di tenere sempre viva, nella societ di oggi, quella ricerca di Dio che la Regola di S. Benedetto indica come missione primaria della vita monastica.