ordine benedettino - la storia, prima parte
Parte I - da S. Benedetto al sec. X
Le grandi linee della biografia di S. Benedetto sono note in maniera sufficiente, anche se contenute entro il consueto schema agiografico, avaro di dati cronologici e istituzionali di una certa precisione. Il Santo nacque a Norcia da un'agiata famiglia e fu inviato a Roma per gli studi. Disgustato però dal clima morale ivi riscontrato, si ritirò dapprima ad Enfide (l'attuale Affile) e poi - nella solitudine pressochè assoluta - in una grotta (il Sacro Speco di Subiaco), aiutato da un monaco dei dintorni, il quale gli provvedeva il cibo.Dopo tre anni, a causa dell'accorrere di numerosi discepoli, fondò dodici monasteri, formati da dodici monaci ciascuno; raccolse poi altri aspiranti alla vita monastica, per una loro più accurata formazione, in un tredicesimo monastero, nei pressi dell'antica villa di Nerone. L'ostilità di un sacerdote del luogo, lo indusse, dopo qualche tempo, a cambiare sede, trasferendosi da Subiaco a Montecassino. E' molto probabile, tuttavia, che ad un simile trasferimento abbia anche contribuito un'evoluzione della sua stessa concezione monastica, passata da una forma federativa di unione tra diversi monasteri a un tipo di monastero unico, completamente autonomo, appunto quello cassinese, formulazione piena e perfetta del suo ideale ascetico e religioso. Il Santo è presentato da S. Gregorio, prima e pressochè unica fonte per la sua biografia, come largamente dotato di doni carismatici, profezie, guarigioni, lettura delle coscienze. Suoi primi discepoli furono Mauro e Placido; accanto a lui viene pure presentata la dolce figura della sorella Scolastica che, religiosa anch'essa, una volta all'anno si incontrava col fratello nei pressi di Montecassino. Il Santo appare in contatto anche con alcuni ecclesiastici della regione: a lui, attratto dalla sua fama, si recò pure il re Totila, probabilmente nell'ottobre 546. S. Benedetto vive quindi nel pieno della tremenda guerra greco-gotica (535-553), intrapresa dai Bizantini per il recupero dell'Italia occupata dagli Ostrogoti, anche se la tristezza di tali vicende non ha lasciato praticamente alcuna traccia nella "Regola".
Il Santo ha quindi trascorso tutta la sua vita nella ristretta fascia dell'Italia centrale (Umbria e Lazio) e, pur ammettendo che la sua "Regola" potesse essere adottata anche in altri monasteri, non ne poteva certo prevedere la futura espansione, a partire dal pieno Medioevo e fino ai nostri giorni, in ogni Paese e continente. Allorchè S. Benedetto dette inizio alle sue fondazioni monastiche, dapprima a Subiaco e poi, in forma definitiva, a Montecassino, ove compone la "Regola" e muore, il fenomeno monastico conosceva già due secoli di intensa e varia esperienza. Sorto in Egitto e in Palestina, esso aveva avuto modo di espandersi anche in Occidente con figure quali S. Martino di Tours e S. Girolamo, Cassiano e S. Patrizio.L'ideale monastico consisteva nell'abbandono del mondo, nell'impegno costante di una vita di penitenza e di preghiera, in forma eremitica o cenobitica, secondo il genere di vita già condotto, nel sec. IV, da S. Antonio, S. Pacomio, S. Basilio. La lunga distanza cronologica e culturale non deve però far dimenticare anche le differenze che esistevano in seno a tali esperienze ascetiche, a seconda che venisse data maggiore importanza all'individuo o alla comunità, alla solitudine o allo spirito ecclesiale, al disprezzo del mondo o ad un iniziale, modesto interesse verso i valori culturali. Esisteva inoltre già tutta una copiosa letteratura, consistente di vite, regole, sermoni, lettere, dialoghi, da cui anche l'esperienza monastica occidentale ed italica, prima fra tutte quella di S. Benedetto, non poteva assolutamente prescindere. E, di fatto, Benedetto ha operato una sintesi di questa esperienza e di questa letteratura, come gli studi più recenti hanno messo chiaramente in luce, servendosi addirittura del piano compositivo offertogli da una anonima "Regola latina" del sec. VI, la cosiddetta "Regula Magistri", a meno che non si tratti della prima stesura della sua stessa "Regola". Certo, S. Benedetto ha un'idea tutta sua del monastero e della vita che in esso si conduce; istituisce nuovi uffici (il maestro dei novizi, l'infermiere), stabilisce nuovi rapporti non solo dei monaci col superiore (l'abate) ma anche dei monaci tra loro - mediante un più vivo senso della fraternità -; conferisce alla vita di comunità una struttura più flessibile ed articolata. Particolare risalto viene assegnato alla celebrazione dell'ufficio divino (l'"Opus Dei"), mentre al lavoro vengono assegnate numerose ore della giornata. Il motto "Ora et labora" che non si trova nella "Regola" e che, come tale, è stato formulato soltanto nel sec. XVIII in ambiente bavarese, solo parzialmente può rendere ragione di una esperienza così complessa e feconda, in cui grande importanza ha pure la pratica della "lectio divina", lettura sapienzale dei testi biblici.
La comunità monastica è, secondo la Regola benedettina, unica, indipendente, autosufficiente, separata dal mondo sul quale non è previsto alcun genere di influsso. Il suo sostentamento proviene da lavori di carattere artigianale svolti all'interno del monastero, mentre solo eccezionalmente è previsto il lavoro dei campi. La Regola benedettina suppone evidentemente già una particolare interpretazione del Vangelo compiuta dalla tradizione monastica, consistente nella "sequela di Cristo", nella rinuncia alla propria volontà, nella imitazione della prima comunità apostolica, senza peraltro presentare di tutti questi aspetti una, riflessione sistematica. La forte visuale escatologica fa coincidere precetti e consigli, salvezza e perfezione, vocazione cristiana e suo adempimento, perseveranza nella fede e perseveranza nel monastero fino alla morte. Varie categorie di persone possono far parte della comunità, per lo più nella condizione laicale, mentre i sacerdoti costituiscono una esigua minoranza. La Regola benedettina parla di "decanie", ossia di gruppi di dieci monaci, il che fa supporre che la comunità dovesse oscillare tra i venti e i trenta membri. Scavi recenti, del resto, hanno permesso di constatare che il primitivo insediamento monastico di S. Benedetto a Montecassino era piuttosto modesto. Benchè l'espressione non compaia nella "Regola", va da sè che, per essa, la vita monastica è vita contemplativa, dato che in tale senso era concepita una simile esistenza dall'antica tradizione monastica. Mancano, invece, nella "Regola", esplicite indicazioni circa lo studio o il lavoro intellettuale in genere, ma, coll'importanza assegnata alla celebrazione della liturgia e alla pratica della "lectio divina", se ne ponevano remotamente le premesse, al fine di disporre di testi adeguati allo scopo e di preparare individui atti alla loro comprensione e trasmissione. La vita di S. Benedetto è stata scritta da S. Gregorio Magno nel secondo libro dei "Dialoghi", composti fra il 593 e il 594. Si tratta, ovviamente, di un testo redatto secondo le norme dell'antica agiografia e, come tale, esso va interpretato. I dati essenziali sono però sostanzialmente attendibili e sull'identitò storica di Benedetto non possono esistere dubbi. San Gregorio scriveva nondimeno allorchè Montecassino aveva giò subito la sua prima distruzione totale ad opera dei Longobardi (577) e, quindi, allorchè l'opera di S. Benedetto poteva parere irrimediabilmente compromessa. In quella occasione i monaci cassinesi avevano trovato rifugio a Roma, presso il monastero di S. Pancrazio al Laterano. La Regola benedettina, tuttavia, rimane in questo primo periodo poco conosciuta, e lo stesso S. Gregorio, nel suo monastero romano di Sant'Andrea al Celio, sembra aver seguito anche altre norme di vita religiosa. Dal punto di vista generale, del resto si era nel periodo delle cosiddette "regulae mixtae", ossia di regole formate da norme desunte, in forma antologistica, da varie regole, senza il predominio assoluto di nessuna.
Nel 596 S. Gregorio inviò in Inghilterra, per la conversione di quel popolo, il monaco Agostino e altri quaranta monaci romani del monastero del Celio. Attraverso tale missione, la Regola benedettina cominciava a varcare i confini della Penisola: del resto, il più antico - anche se non il più autorevole - manoscritto della "Regola" è un codice inglese. A partire da questo periodo si può dire che la diffusione della "Regola", mediante i monasteri fondati nel Nord Europa, e la propagazione del Vangelo in quei medesimi Paesi, procedano di pari passo. Il monachesimo - di osservanza sempre più decisamente benedettina - costituisce un po' il filo conduttore non solo quanto alla diffusione della Regola di San Benedetto, ma anche quanto all'evangelizzazione delle diverse popolazioni germaniche. Saranno infatti i monaci celti e anglosassoni riversatisi sul continente europeo a favorire l'evangelizzazione, la cultura e le fondazioni monastiche, ponendo le premesse per un'adozione sempre più completa della Regola benedettina. Eccetto il caso dell'intervento di qualche pontefice, va però ricordato che l'espansione monastica fu un fenomeno spontaneo, non programmato, non mirante a riunire i monasteri (sempre più numerosi) in un unico "corpus" o Ordine religioso nel senso moderno del termine. L'evangelizzazione compiuta dai monaci, inoltre, era dovuta ad un movente ascetico (l'abbandono della patria) e ad uno di natura mistica (il desiderio del martirio). Fino al Mille e, per moltissimi monasteri, anche dopo tale data, i centri monastici continueranno a conservare la propria autonomia, le proprie tradizioni, le proprie osservanze particolari sancite dalle diverse "Consuetudini", compilate per colmare il crescente divario tra il testo della "Regola" e le usanze via via impostesi. Un certo tentativo di unificazione fu compiuto - ma con scarso successo - da parte dei sovrani carolingi, da Carlo Magno a Ludovico il Pio. Quest'ultimo si servì dell'opera di un monaco visigoto, S. Benedetto d'Aniano ( 821), il quale tentò un esperimento di unificazione dei monasteri franchi in base alle relative osservanze. A tale scopo, nell'817, veniva convocato ad Aquisgrana un sinodo di abati e di monaci, ma, per varie ragioni, non si potè giungere ad un'effettiva unità di governo, per cui il tentativo non riuscì. In ogni caso, S. Benedetto d'Aniano - considerato da qualcuno come il vero fondatore dell'Ordine benedettino - deve essere ricordato anche per lo sviluppo assegnato alla liturgia, ben oltre le norme previste dalla Regola benedettina, secondo un indirizzo, che nel secolo successivo verrà in gran parte ripreso dal monastero di Cluny. Anzi, il movimento riformatore di Cluny non sarebbe potuto sorgere senza la precedente esperienza anianense. Lo stretto rapporto determinatosi tra monachesimo benedettino e regno franco è solo un aspetto del ben più profondo rapporto stabilitosi con la stessa società altomedievale, ormai decisamente condizionata dalla presenza di un numero incalcolabile di monasteri.
Questi non solo favorivano un incontro fra membri di razze diverse, magari un tempo in lotta fra loro - e a tale riguardo è emblematica la presenza, a Montecassino, di due ex-sovrani, Carlomanno, già re dei Franchi, e Ratchis, già re dei Longobardi - ma venivano ad esercitare una funzione determinante nell'edificazione della Cristianità medievale in tutti i suoi aspetti. All'ombra dei monasteri, infatti, popolazioni ancora rudi e primitive potevano apprendere la tecnica più perfezionata di qualche mestiere, l'ingentilimento dei costumi, la partecipazione alla preghiera liturgica anche mediante apposite traduzioni nelle varie lingue germaniche e romanze, il senso della condivisione di un medesimo destino. Specialmente nelle campagne, grande fu l'importanza dei monasteri per la coltivazione dei terreni abbandonati, l'estirpazione dei culti idolatrici, l'evangelizzazione dei villici da cui, in molti casi, deriveranno le confraternite medievali e il futuro "Populus Abbatiae", premessa di più ampi sviluppi civici e politici. Da ciò si intravede quale complessità di rapporti economici, giuridici, sociali - oltre che strettamente religiosi - fosse favorita ed animata dai centri monastici. Questi ultimi, inoltre, si inserivano ottimamente nelle strutture dell'economia altomedievale basata sul sistema curtense, in forza del quale una parte dei fondi monastici era data in affitto a coloni secondo gli svariati tipi di contratti dell'economia medievale. Se tale era l'opera svolta in campo religioso-sociale, non meno cospicui ne furono i riflessi in campo strettamente culturale, con l'apporto alle lingue e letterature nazionali, mentre anche le vicende di tali popoli divenivano oggetto di apposite narrazioni, dalla "Storia dei Longobardi" di Paolo Diacono, alla "Storia degli Inglesi" del Venerabile Beda, fino alla "Storia dei Normanni" di Amato di Montecassino. Un altro elemento rivelatore della crescente importanza dei centri monastici è la tendenza - da parte dei maggiori di essi - a sottrarsi all'autorità vescovile, mediante il sempre più diffuso istituto giuridico dell'esenzione. Per il momento, e ancora per qualche secolo, rimane immune dall'influsso benedettino l'Irlanda, in quanto custode di tradizioni monastiche proprie, tenacemente radicate in quel Paese da dove provenivano asceti e missionari come S. Colombano, fondatore, tra l'altro, del monastero di Bobbio. Anche in Spagna, se pure in misura minore, la resistenza di tradizioni locali impedì un'universale e rapida espansione della Regola di San Benedetto.
Già si è detto della missione dei monaci inviati in Inghilterra da S. Gregorio: tale missione, nonostante la lontananza e la diversità delle situazioni locali, incontrò successo, attuando un esteso radicamento ed una capillare estensione dell'organizzazione diocesana. Con ogni probabilità, il monastero dei Santi Pietro e Paolo di Canterbury è stato il primo monastero fuori d'Italia in cui si è osservata la Regola benedettina. I successori di S. Agostino ne continuarono l'opera fondando il monastero di Westminster; qualche decennio più tardi sarà S. Aidano a proseguirne l'opera evangelizzatrice, che avrà nel monastero insulare di Lindisfarne il centro propulsore della vita religiosa e culturale dell'Inghilterra. Le figure più illustri del monachesimo inglese sono S. Wilfrido, S. Cutberto, S. Benedetto Biscop e specialmente il Venerabile Beda (735), "dottore" della Chiesa. Nei territori corrispondenti all'attuale Francia e Belgio operano monaci quali S. Walberto, S. Wandregisilo, S. Filiberto, S. Eustazio, S. Bertino, S. Amando con le rispettive fondazioni, tutte di grande importanza. Tra queste va almeno ricordata quella di Corbie. In Germania la figura dominante è quella di S. Bonifacio (Winfrido) che, nativo dell'Inghilterra meridionale, fu educato in due monasteri. Da quell'ambiente egli trasse l'amore alla cultura, la venerazione al papa, il desiderio della propagazione della fede. S. Bonifacio compì un primo tentativo, non riuscito, sul continente ove già operava S. Willibrordo, allora ad Echternach (nell'attuale Lussemburgo). A Roma fu accolto benevolmente da Gregorio II che lo inviò in Germania, ove evangelizzò la Baviera, l'Assia e la Turingia. Nominato dal papa "episcopus Germaniae", si diresse verso la Sassonia, valendosi di fedeli collaboratori e mantenendo profonde amicizie con gli ambienti spirituali di quel paese.A S. Bonifacio è dovuta la fondazione del monastero di Fulda, ma il Santo si impegnò pure nella creazione di diocesi, nell'organizzazione della gerarchia, nella riforma della Chiesa franca mediante sinodi che, tra l'altro, imponevano l'adozione della Regola di S. Benedetto. Nel 755 subì il martirio in Frisia a opera di fanatici, insieme a cinquantadue compagni. In Italia, frattanto, era risorto (nel 717) il monastero di Montecassino, mentre di grande importanza erano pure le contemporanee abbazie di Farfa, Nonantola, S. Vincenzo al Volturno, Novalesa (in Val di Susa). Su tutta questa ininterrotta e crescente fioritura di fondazioni monastiche emerge la fondazione del monastero di Cluny in Borgogna (910), monastero libero da ogni ingerenza civile o ecclesiastica e posto direttamente alle dipendenze della Sede Apostolica.
Esso intendeva reagire ai danni costituiti dalle intromissioni di laici, dalle rivendicazioni di signori feudali che avevano contribuito alle fondazioni, dall'imposizione di abati estranei, dalle usurpazioni di beni, dai danni dell'ospitalità obbligata a militari e funzionari imperiali. I primi abati furono S. Bernone, S. Odone, S. Maiolo, S. Odilone, S. Ugo, figure gigantesche, che diffusero l'"Ordo cluniacensis" (prima immagine di un organismo monastico accentrato) in ogni regione d'Europa, con ramificazioni dirette o indirette (abbazia di Cava dei Tirreni) anche in Italia. A Cluny era esaltata soprattutto la celebrazione liturgica e era ravvivata con particolare sensibilità la coscienza ecclesiale, anche se la lunghezza degli uffici in coro portava ad una riduzione del lavoro manuale. I motivi del successo furono dovuti all'esenzione papale, agli aiuti dei signori feudali, alla santità e longevità dei primi abati, pur non mancando resistenze e opposizioni di vescovi a causa dell'esenzione. L'influsso di Cluny sulla società medievale fu immenso, rialzando il livello spirituale sia nel clero che nel laicato, e offrendo un'immagine precisa di osservanza monastica tutta incentrata sul primato del culto liturgico.Notevole fu anche, mediante lo splendore dei riti, l'influsso su popolazioni ancora primitive e grande l'esercizio della carità verso i poveri e i malati. Il prestigio derivava anche dal fatto che, di fronte alla diffusa anarchia contemporanea e ai disordini del "secolo di ferro", Cluny offriva l'esempio dei benefici derivanti dalla centralizzazione e dall'elevatezza dei suoi ideali. Estendendosi in ogni paese e accrescendo in maniera unica l'autorità dell'abate di Cluny, l'"Ordo cluniacensis" contribuì efficacemente al consolidamento della cristianità medievale e al rafforzamento dell'autorità papale. La lotta per la libertà della Chiesa dalle ingerenze imperiali, l'idea di crociata, la rinascita religiosa dopo il Mille, perfino una nuova concezione della storiografia sono strettamente legate alle motivazioni ideali che avevano dato vita alla grande abbazia borgognona, in cui la forte coscienza dell'unica comunità dei credenti aveva indotto l'abate Odilone ad istituire la commemorazione liturgica di tutti i fedeli defunti (2 novembre).