san benedetto da norcia, la vita
Se ne andò in direzione Montecassino. La storia tramanda anche che, in seguito, alcuni monaci lo pregarono di ritornare a Subiaco, perché la persecuzione di Fiorenzo era finita. Questi infatti era morto insieme alla sua allegra brigata di amici e amiche, sembra, per il crollo del tetto di locale "ludico", che lui aveva voluto per la ricreazione dei sensi! Benedetto non tornò indietro. Era l’anno 529. La trasformazione di Montecassino ebbe del miracoloso; quell’Abbazia, infatti, diventò la madre di tutte le Abbazie d’Europa che si rifaranno a Benedetto.
Ma il suo vero capolavoro rimane ancora oggi la sua Regola dei monaci, che lo consacra come il vero fondatore del Monachesimo occidentale, anche se non tutto è frutto della sua creatività e genialità. Gli studiosi affermano che la famosa Regola è debitrice (cosa che Benedetto ha sempre affermato) delle intuizioni di San Basilio Magno, il padre del Monachesimo orientale, di Sant'Agostino, di San Giovanni Cassiano; e aggiungono anche un’opera dal titolo "Regula Magistri", databile tra il 520 il 630, il cui autore era un italiano, un autentico maestro di vita spirituale. Benedetto certamente conobbe questa opera. Questo non diminuisce l’originalità dell’impostazione della vita nell’Abbazia che lui creò.
Benedetto non aveva inventato il monastero, perché ne esistevano numerosi in tutta Italia. Egli ha delineato e imposto un nuovo modo di essere monaci, basato su tre principi fondamentali, che diventeranno autentici pilastri, sui quali poggeranno centinaia di abbazie in tutta Europa. Il primo: "la stabilità del luogo". Significa che Benedetto mise al bando i cosiddetti “monaci vaganti”, che spesso erano poco monaci e molto vaganti, cioè vagabondi. Chi entrava liberamente in monastero, doveva avere intenzione seria di volerci vivere stabilmente. Il cenobio diventava la sua famiglia per sempre, nel bene e nelle difficoltà. Il secondo: "il tempo del monaco sarà fortemente strutturato da un orario". Benedetto rivaluta il tempo come dono di Dio da non dissipare o disprezzare. Il tempo, quindi, veniva organizzato con scadenze puntuali riguardanti la preghiera, il lavoro manuale, la lettura sacra della Bibbia ed il riposo. Ed infine il terzo elemento: "l’uguaglianza".
Tutti uguali, nei diritti e nei doveri.Una vera rivoluzione. «Qui si comincia a rinnovare il mondo: qui diventano uguali e fratelli "latini" e "barbari", ex pagani ed ex ariani, antichi schiavi ed ex padroni di schiavi. Ora tutti sono una cosa sola, stessa legge, stessi diritti, stesso rispetto. Qui finisce l’antichità, per mano di Benedetto. Il suo monachesimo non fugge il mondo. Serve Dio ed il mondo, nella preghiera e nel lavoro» (D. Agasso). Con Benedetto finiva il concetto di "monachesimo-rifugio" e incominciava quello di "monachesimo-azione". Vivere per Dio nella contemplazione certo, ma anche nell’azione. C’è inoltre un altro aspetto importante che qualifica la trasformazione del Monachesimo: il principio di autorità rappresentato dall'abate. Ci deve essere, perché il monastero e i suoi abitanti non possono vivere in anarchia, anche se santa. Ma questa autorità deve essere accompagnata dalla fraternità e dalla dolcezza, virtù che renderanno l’obbedienza più leggera e lieta. Benedetto non ipotizza certo un abate dittatore. La virtù che dovrà distinguerlo sempre sarà la discrezione, senza voler fare subito dei monaci degli eroi. Morto Benedetto, il suo Monachesimo profondamente riformato andò avanti. La Regola da lui dettata non rimarrà un fenomeno solo italiano, ma sarà esportata in tutta Europa, perché si adattava a tutti. Sarà lo stesso Carlo Magno ad appoggiarla. E dopo di lui Ludovico il Pio incaricò San Benedetto di Aniane (750-821) di uniformare alla Regola benedettina tutti i monasteri dell’Europa. Per cui essere monaco equivaleva allora ad essere benedettino. Furono inoltre numerosissimi i nuovi Ordini religiosi, maschili e femminili, che sorsero in seguito e che si ispirarono alla Regola di San Benedetto.
E così le intuizioni di Benedetto poterono plasmare migliaia di monaci in tutto il continente, il cui impatto sulle popolazioni e sul clero di allora e dei secoli successivi fu enorme. Per questo non ci si meraviglia che Paolo VI lo abbia proclamato Patrono d’Europa.