Origini del monachesimo.
Tra la fine del sec. III e gli inizi del sec. IV, nel mondo cristiano si viene profilando il singolare fenomeno religioso, molto vasto e ramificato, del Monachesimo. Il periodo coincide con la "fine del mondo antico", con la complessa crisi dell’Impero romano diviso ormai tra Impero d’Occidente e Impero d’Oriente, con l’urbanesimo, con lo spopolamento delle campagne, con la crescente pressione delle genti germaniche ai confini dell’Impero. In questo periodo la Chiesa possedeva già un’organizzazione abbastanza solida, una gerarchia sufficientemente diffusa, un culto, una disciplina, una letteratura, dei patrimoni e, a partire dall’Editto di Milano del 313, la libertà religiosa concessale da Costantino.Si calcola che, su 50 milioni di sudditi dell’Impero romano, i cristiani fossero circa 7 milioni.
Con il Monachesimo, avrà origine una forma di vita consacrata interamente alla preghiera e alla penitenza, in un isolamento dal mondo, che ammetterà un minimo e un massimo, ma vorrà esprimere e attuare il desiderio di un’esistenza dedicata completamente alla ricerca di Dio. All’indomani della "Pace costantiniana" un campo immenso si presentava a chi avesse voluto impegnarsi nell’evangelizzazione di popoli non ancora raggiunti dal messaggio cristiano. Eppure, proprio in quei decenni, prese sempre più piede un fenomeno orientato in direzione opposta. Alcuni cristiani, specialmente in Egitto, iniziarono a ritirarsi nel deserto, volendo riaffermare con ciò che «il Regno di Dio non è di questo mondo», e rivendicare i più alti valori dello spirito, unitamente a una più o meno esplicita protesta contro i pericoli della mondanità, ora che la professione della fede non era più causa di persecuzioni, ma poteva, al contrario, procurare onori e assicurare carriere.
Quanto all’etimologia del termine «monaco», già nell’antichità vennero proposte diverse interpretazioni: «solitario» (San Girolamo), persona «unificata» interiormente (i Padri orientali), persona mirante all’«unanimità» con i fratelli (Sant'Agostino), mentre nel mondo siriaco si era affermata l’idea che il monaco fosse un imitatore dell'«unigenito», cioè di Cristo. Quanto alle origini storiche e ideologiche del Monachesimo, tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento sono state avanzate diverse interpretazioni, oggi superate, analogamente a quanto si è verificato per le origini dello stesso cristianesimo. Si era supposto che il Monachesimo cristiano fosse sorto in derivazione da isolate forme di ascetismo pagano o da alcuni presupposti spiritualistici della filosofia greca, specie neoplatonica; o, ancora, ed era la tesi del famoso teologo protestante Adolf von Harnack, da qualche corrente ereticale rigoristica ed estremistica, come per esempio il montanismo; o, infine, da forme sincretistiche pagano-cristiane in rapporti più o meno diretti con le «religioni dei misteri» del mondo ellenistico.
Oggi, invece, come accade per le stesse origini cristiane, le radici del Monachesimo appaiono sempre più profondamente situate nel mondo biblico. Quanto all’Antico Testamento è fondamentale, nelle vite dei Santi monaci, il richiamo alla figura di Abramo e al suo abbandono della patria. D’importanza straordinaria è, poi, il tema del deserto quale luogo della prova, della tentazione, dell’abbandono in Dio, della lotta con i demoni, della precarietà e transitorietà di ogni cosa. Né vanno dimenticati quei «luoghi santi», come il Sinai e il Carmelo, a cui la tradizione cristiana si rifarà per alcune peculiari esperienze monastiche. Se erano rare, nell’Antico Testamento, le pratiche ascetiche vere e proprie (come il nazireato), va tenuto presente l’"ideale del martirio" (tipico dell’epoca dei Maccabei), come pure l’accentuarsi, sulle soglie dell’era cristiana, del Movimento monastico degli Esseni, oggi praticamente identificato con la Comunità di Qumran presso il Mar Morto, caratterizzata da tendenze accentuatamente dualistiche ed escatologiche. Manca invece nell’Antico Testamento l’ideale della verginità, a causa dell’attesa e della speranza di annoverare tra la propria prole il Messia, ideale che invece si affermerà in maniera decisa nella nuova economia religiosa instaurata dal Nuovo Testamento.
Fondamentale, qui, l’invito di Cristo a seguirlo in una vita più perfetta, mentre il tema del deserto ricompare nell’episodio delle tentazioni. Anche le esortazioni di San Paolo dovevano essere ricche di conseguenze quanto alla pratica della verginità, com’è dimostrato da una prassi risalente ai primi tempi della Chiesa e documentata, tra l’altro, dai vari scritti "De virginitate". I monaci cristiani quindi - anche perché erano per lo più persone semplici, aliene da speculazioni filosofiche - non hanno elaborato un ideale di perfezione per conto proprio, ma si sono rifatti sostanzialmente all’insegnamento della Sacra Scrittura, come era vissuto dalla Chiesa del tempo. A questo riguardo bisogna ancora aggiungere la pratica della vita comune in vigore nella Chiesa primitiva, secondo la testimonianza degli Atti degli Apostoli: per secoli «vita apostolica» significherà non già vita di apostolato, ma, appunto, «vita comune», a imitazione degli Apostoli, che avevano lasciato tutto per seguire il Signore.
Nella Chiesa dei primi secoli, poi, l’ideale del "perfetto cristiano" sarà costituito dal martire di cui, con il venir meno delle persecuzioni, i monaci si considereranno eredi e continuatori. Anche la prassi penitenziale della Chiesa antica, così rigorosa, influirà sui successivi sviluppi del Movimento monastico per il fatto che, cessata la penitenza pubblica, molti cristiani si sottoporranno spontaneamente a forme di disciplina penitenziale, anticipando quindi il concetto del monaco quale penitente volontario. Assai varie quanto a provenienza, genere letterario, attendibilità storica, le fonti relative al Monachesimo delle origini - e molte sono ancora inedite, come quelle in lingue orientali - presentano diversi problemi di carattere storico-letterario tuttora discussi.
E' certo, per esempio, che alcune fonti, specialmente le agiografie, seguono determinati schemi, per influsso sia della tradizione biblica (l’immagine del "vir Dei"), sia del romanzo ellenistico (fughe, nascondimenti, travestimenti, ritrovamenti), sia delle tradizioni popolari (apparizioni favolose sotto forma di animali). In ogni caso, alcuni di questi testi conobbero fortuna immensa e divennero un fenomeno culturale dì grande rilevanza.
Il Monachesimo antico presenta una grande varietà di forme quanto al genere di vita, all’estrazione sociale, alle condizioni ambientali, all’ascesi, al lavoro, ai rapporti con la gerarchia ecclesiastica. Per lo più i monaci sono semplici laici, qualche volta ancora catecumeni, per la convinzione che lo stato monastico sia un equivalente del battesimo (donde la concezione della professione monastica come secondo battesimo). La patria del Monachesimo è l’Egitto, dove alla metà del sec. IV, i monaci erano centinaia di migliaia, e la Palestina. In tali ambienti si incontrano non solo degli ideali ma anche degli esemplari di altissima virtù e contemplazione e, a poco a poco, anche una vera e propria dottrina elaborata dalla corrente monastica dotta di cui è precipuo esponente Evagrio Pontico.
Le stesse fonti non idealizzano però eccessivamente il livello spirituale dei primi monaci, presentandone anche forme degenerate a causa di abusi, disordini morali, scandali, errori teologici, forme di fanatismo, insufficiente senso ecclesiale. Anche in ciò il Monachesimo ha dovuto compiere un lungo percorso e rettificare alcune posizioni. Secondo uno schema letterario destinato a una notevole fortuna, esistevano diverse categorie di monaci (dai migliori ai peggiori) e talora, dopo anni, un monaco veniva a sapere, per rivelazione celeste, che un artigiano dei dintorni era molto più perfetto di lui. Le stesse fonti presentano, non di rado, la figura del monaco pigro, goloso e scroccone. Il fatto, però, che i padri del Monachesimo siano stati, in gran parte, anche i maggiori padri della Chiesa, contribuì a salvaguardarne lo spirito e l’ortodossia e a conferire a tale Movimento ulteriore autorevolezza e prestigio.
Sul fondamento del contenuto spirituale insito nel messaggio cristiano, venne a poco a poco elaborandosi un itinerario ascetico di cui si possono individuare le tappe essenziali. Va ricordato in particolare il tema della compunzione (pénthos), della rinuncia (apótaxis), dell’allontanamento nella solitudine (anachóresis), dell’ascesi (áskesis), del combattimento spirituale (agôn), del dominio di sé (apátheia), del discernimento degli spiriti (diákrisis), del riacquisto dello spirito colloquiale con Dio (parrhesía), della deificazione (theopoíesis). Il cammino spirituale era visto come contrassegnato dal progressivo acquisto della gioia e dal ripudio della tristezza, considerata come facente parte degli otto vizi capitali, e di cui spesso ebbero a occuparsi i padri del Monachesimo. Sotto questo punto di vista non c’è soluzione di continuità tra antichità e Medioevo, tra Oriente e Occidente. In base alle prime esperienze compiute dai Padri del deserto e descritte nei Detti dei Padri, venne formandosi un patrimonio comune di dottrina e di idealità, via via attuato in forme sempre più differenziate dal punto di vista organizzativo e istituzionale.
E infatti, dopo la prima fase dell’"ascetismo domestico" dei primi secoli, testimoniato anche dai vari trattati "De virginitate", si registra una larga affermazione dell’eremitismo, a volte nelle forme più drastiche e assolute, con distacco deciso da parenti e amici, a volte mitigato mediante l’unione di vari eremiti in raggruppamenti o «laure». Non vi sono ancora Regole né legami di tipo culturale con la scuola teologica alessandrina, anche se a poco a poco pure i monaci verranno interessandosi alle dottrine del grande Origene e saranno coinvolti nelle relative dispute e condanne. Nel corso del sec. IV, il passaggio dall’eremitismo a una pratica di vita comune (cenobitismo) è riassumibile nell’itinerario che va da Sant'Antonio a San Basilio. Antonio ( 356), nato in una famiglia cristiana e considerato comunemente come il "padre dei monaci", avendo udito in chiesa la chiamata a seguire il Signore, abbandonò tutto, affidò la sorella a una comunità di monache e si ritirò nel deserto. Il suo cammino spirituale è come scandito dalla ricerca di una solitudine sempre più completa, dalla scelta di località sempre più remote e inospitali, in cui il Santo è esposto alle violente tentazioni dei demoni. Questa ricerca della solitudine non impedisce che attorno a lui si raccolgano dei discepoli, né che il Santo eremita si rechi talvolta ad Alessandria per affrontare gli eretici. Antonio godette di una fama sempre crescente e l’influsso da lui esercitato sulla spiritualità monastica fu enorme. La sua biografia fu composta da Sant'Atanasio a pochi anni dalla sua morte e, subito tradotta in latino, divenne un testo conosciutissimo in tutto il mondo cristiano, esercitando un’influenza decisiva su tutta la posteriore letteratura agiografica, sull’ascesi, sull’iconografia.
Una fase successiva decisamente orientata verso il cenobitismo, è testimoniata dall’esperienza di San Pacomio ( 346). Originario di famiglia pagana, si ritirò anch'egli nella solitudine. Raccolse ben presto però numerosi discepoli nella Tebaide, a Tabennisi nell’Alto Egitto. Ebbero così inizio varie comunità caratterizzate da una notevole tendenza alla centralizzazione con cenobi formati da raggruppamenti di case, giungendo a costituire villaggi veri e propri. San Pacomio compose una Regola, in cui era minuziosamente fissato l’orario relativo al lavoro, alla preghiera, ai pasti, alla penitenza: è la prima Regola monastica a noi nota. In essa viene tra l’altro codificato il sistema decanale, ossia la distribuzione dei monaci in gruppi di dieci, criterio adottato anche dalla Regola di San Benedetto. Quanto alla sua biografia sono giunte diverse vite a opera di discepoli. San Basilio dì Cesarea ( 379), il più importante dei padri cappadoci, riporta a tutt’altro ambiente, quello dell’Asia Minore. Proveniente da una famiglia di intensa spiritualità cristiana, era dotato di una grande cultura, arricchitasi anche mediante numerosi viaggi, preziose amicizie, soggiorni nelle metropoli culturali dell'Oriente cristiano (Atene, Costantinopoli).
Basilio condusse il Monachesimo antico all’affermazione del pieno cenobitismo con la costituzione di monasteri autonomi, uno per ogni singola località. Le sue comunità erano spesso doppie, composte cioè di monaci e di monache, e la vita che vi si conduceva era profondamente ispirata all’insegnamento evangelico, al punto che le sue Regole morali (l'unico scritto a cui egli attribuì il nome di «Regola») non erano altro che un’antologia di testi del Nuovo Testamento. Accanto ad esse vanno ricordate altre due raccolte ascetiche le cosiddette "Regole diffuse" e "Regole brevi". L’ideale monastico basiliano è caratterizzato da un vivo spirito ecclesiale, dall’importanza assegnata all’obbedienza dall’attività in scuole e opere di assistenza. Nonostante San Basilio abbia espresso scarsa stima per l’eremitismo, il Santo è considerato il legislatore della tradizione monastica orientale nelle sue varie formulazioni successive, mentre la corrente pacomiana fu un filone meno diffuso. Con tali testi e tali autori il monachesimo orientale presentò altissimi modelli di perfezione ascetica a tutto l’antico mondo cristiano.