Umbria, le lauree eremitiche.
Cos'è una Làura eremitica?Làura (o lavra) (che in epoca antica significava "cammino", "strada" e poi "quartiere") è una organizzazione monastica bizantina. Distinta dall’eremo (dove il monaco vive solo) e dal cenobio (ove il monaco vive in comunità, in celle separate ma cinte da un muro), la laura indicava un gruppo più o meno grande di celle monastiche (per lo più formate di piccole capanne o di grotte scavate nel terreno arido e roccioso), ognuna separata dalle altre, ma con una chiesa in comune e con un sacerdote che amministrava i sacramenti e, spesso, ma non sempre, guidava i monaci nella vita spirituale (anacoreti, quindi, nel senso stretto della parola).
Prime laure pare siano state quelle di Faran, nel deserto di Giuda, in Palestina, e di Gerico sorte entrambe per iniziativa di San Caritone (323-330); ben presto altre ne sorsero con un massimo di fioritura nel sec. V, specialmente per merito di San Eutimio il Grande e del suo discepolo San Saba. Numerose laure scavate nella roccia, e frequentate sino al sec. XIII, ed oltre, si trovano in Umbria, in Puglia e in Basilicata, interessanti, oltretutto, per gli affreschi che ricoprono celle e oratori. Con il trascorrere del tempo, le laure, anche per conseguenza di abusi sorti per la scarsa disciplina dei monaci, si trasformarono in veri e propri cenobi, e la parola làura divenne sinonimo di monastero, restringendosi anzi, più tardi, ad indicare solo quei monasteri celebri per numero e santità di monaci. Per i cristiani dei primi tre secoli, l’ideale più alto della adesione a Cristo era il martirio, cioè la testimonianza della fede fino a dare per Lui la propria vita.
Nel 313, l’imperatore Costantino, con un Editto, rendeva lecita nell’Impero di Roma anche la Religione Cristiana.
I fedeli aumentarono notevolmente, ma l’incremento numerico dei cristiani, come afferma Tertulliano, non sempre corrispondeva a quello qualitativo.
Negli animi più sensibili, all’antico ideale del martirio cruento se ne sostituì uno ancor più arduo a conseguire: seguire Cristo povero e umile, nella povertà non imposta dalla nascita, ma scelta liberamente, secondo gli ideali evangelici; nella obbedienza a un superiore non per la incapacità di decidere, ma come esercizio di ascesi; nella castità, non come rifiuto della paternità in un momento di crollo dei valori e di grandi incertezze, ma prendendo sul serio le parole del Signore.
Nella volontà di vivere fino in fondo il Vangelo di Cristo, molti si allontanarono dalle loro case e si ritirarono in luoghi deserti (coenobi), dove, nel silenzio, potessero più facilmente percepire la “voce” di Dio.
Questa forma di vita si sviluppò dapprima in Oriente: notissimo è Sant'Antonio Abate, del quale scrisse la vita Sant'Atanasio, vescovo di Alessandria. Sant'Antonio non fu un caso isolato, a centinaia, a migliaia, seguirono il suo esempio; è l’epoca dei cosiddetti “Padri del deserto”. San Gregorio Magno inizia i suoi "Dialoghi" (I, 14) con immenso rimpianto della vita eremitica: «Debilitato dalle occupazioni secolari, l’infelice animo mio ricorda con rimpianto i giorni felici trascorsi nel monastero. Ivi lo spirito, dominando le cose transitorie, era rivolto soltanto alla contemplazione delle cose celesti. La stessa morte, da tutti temuta, era desiderata come ingresso alla vera vita. Ora invece, a causa delle occupazioni pastorali, devo portare il peso dei negozi secolari, e dopo i bei giorni di quiete monastica, la polvere del secolo tutto mi sommerge (...). Ora considero ciò che ho perduto! Sono come una barca sbattuta dai flutti di un mare tempestoso. Sono come un marinaio che, nella procella, ricorda i giorni sereni del lontano porto, Infelix animus meus (...)». San Pier Damiano tesse l’elogio della vita eremitica: «O èremo, delizia delle anime sante, dolcezza inesauribile di intima gioia, paradiso di delizie (...), dove emana senza sosta l’incenso della preghiera! O èremo, tu sei l’officina meravigliosa dello spirito (...).
Da esso vedi scorrere gli avvenimenti e contempli l’effimero flusso delle cose che passano. O cella, tenda di una santa milizia, arena di una gara spirituale, palestra dei forti, spettacolo agli Angeli! La barbarie incombi pure all’intorno, tu sei la via aurea, la scala di Giacobbe (...). Che spettacolo un eremita che canta salmi nella notte! Egli fa la guardia al campo di Dio. O èremo, scampo alle persecuzioni, riposo agli affaticati, conforto agli afflitti. Vedo le celle dei monaci: sono come le tende dell’accampamento di Dio». La vita eremitica comprendeva non solo la vita anacoretica (solitaria), ma anche cenobitica (semicomunitaria) in una laura (unione di una decina di èremi). Il primo esemplare, per i cristiani, era stato Giovanni Battista. I cristiani più generosi cercarono di attuare i consigli evangelici e le Beatitudini. Anche San Giacomo Maggiore era vissuto in grande austerità. In Palestina vi era stato l’esempio degli Esseni Qumramici. Frequente è l’esortazione alla fuga dal mondo nei "Padri della Chiesa". Nel sec. IV, in Egitto la vita anacoretica in forma cenobitica fu fiorente. San Girolamo scrisse la "Vita Pauli", e Sant'Atanasio la "Vita Antonii". San Pacomio aveva compilato una "Regola" per la vita di una laura. Fiorente fu anche in Siria, nel sec. IV, la vita cenobitica sotto la "Regola" di San Basilio (379), un movimento che si ingigantì nel sec. V, fino a raggiungere il mezzo milione di asceti. Anche in Occidente sorsero ovunque laure e cenobi, come in Spagna, in Gallia (si ricordi San Martino di Tours), a Milano (Sant'Ambrogio, Sant'Agostino), in Campania, e soprattutto in Umbria, dove per la forte immigrazione di Siriani si dedicarono a una attività non solo mistica, ma anche di evangelizzazione. Attorno alle laure fiorì la vita agricola, intellettuale, religiosa e civile nelle "Curtes" e nelle "Pievi campestri".